Come viene effettuata una diagnosi di osteoartrite

Come viene effettuata una diagnosi di osteoartrite

L’ osteoartrite (OA) è una patologia molto comune sia nel cane che nel gatto, ma ancora oggi sotto diagnosticata e di conseguenza poco trattata

La diagnosi di osteoartrite si basa principalmente su: 

  • raccolta della storia del paziente (definita anamnesi) 
  • osservazione da parte del proprietario 
  • esame clinico 
  • diagnostica per immagini 

Il riconoscimento dei segni legati a questa patologia, costituisce un punto di partenza fondamentale per un’accurata diagnosi. In quest’ottica il ruolo del medico veterinario si fonde con quello del proprietario per garantire la corretta gestione del paziente. 

Una comunicazione efficace tra proprietario e medico veterinario permette di ottenere informazioni fondamentali per definire al meglio la sintomatologia.  

Il più comune sintomo che accomuna cane e gatto in corso di OA è il dolore articolare, causa principale della riduzione della mobilità e della qualità di vita di chi ne è affetto. 

Nel cane l’alterazione del movimento risulta più evidente rispetto al gatto, il quale, diversamente, manifesta una sintomatologia subdola, spesso accompagnata da alterazioni del comportamento, come cambio di temperamento, alterazione della minzione, riduzione della cura e pulizia di pelo e unghie.  

Qual è la prima cosa da fare per effettuare una diagnosi?

Per effettuare diagnosi di osteoartrite è importante che l’animale venga sottoposto ad una visita ortopedica completa, spesso accompagnata da una visita neurologica, per escludere patologie con manifestazioni simili, ma di diversa natura. 

L’approccio può variare a seconda che si tratti di cane o gatto. Per quest’ultimo infatti bisogna avere alcune accortezze, assicurandosi di visitarlo in un ambiente “cat friendly”, per ridurre lo stress e il discomfort durante la visita clinica, entrambi fattori che possono falsare la valutazione stessa. 

L’esame clinico

Durante la visita ortopedica viene effettuato l’esame del movimento a diverse andature (prima al passo, poi al trotto e/o galoppo).

Questo è molto più difficile nel gatto. A questo problema si può ovviare riprendendo il gatto in ambiente domestico. Si consiglia infatti di riprendere il proprio gatto durante la normale routine giornaliera, ritraendolo in diverse modalità di movimento (camminata, corsa o salto). In tal modo il medico veterinario, durante la visita, può procedere ad  un’analisi più realistica della mobilità complessiva del gatto.  

Secondariamente, per entrambe le specie, si valutano mediante palpazione gli arti nella loro interezza, così da identificare eventuali asimmetrie, tumefazioni, atrofie muscolari, aree calde, fredde o dolenti.  

In seguito si procede con l’esame delle singole articolazioni, valutando i normali movimenti dell’articolazione ed esacerbandoli. In particolare, per ciascuna articolazione viene valutato il grado di escursione articolare, ossia l’ampiezza dei movimenti di flessione ed estensione dell’articolazione in esame, valutando al tempo stesso la presenza/assenza di crepitio e dolore. Per valutare al meglio il grado di escursione articolare, e/o in presenza di animali poco collaborativi, potrebbe essere richiesta una sedazione profonda in modo da garantire un adeguato rilassamento, ridurre lo stress e dolore ed evitare dati falsati.  

La diagnostica per immagini

Individuato il distretto in cui si sospetta la patologia, questo può essere indagato mediante diagnostica per immagini ed esami collaterali, quali esame radiografico, esame del liquido sinoviale, ecografia, tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica, artroscopia.  La scelta di uno o più esami collaterali dipende dal sospetto diagnostico e dalle caratteristiche del paziente. L’esecuzione di tali procedure può richiedere il paziente in sedazione o in anestesia generale. 

Sicuramente l’indagine radiografica, per la sua rapidità e facilità di esecuzione, è quella che meglio si presta alla formulazione di una diagnosi di certezza, qualora si riscontrino visibili modificazioni radiografiche tipiche della patologia ( rimaneggiamento osseo, sclerosi dell’osso subcondrale, osteofitosi ed enteseofitosi ecc..), ed al contempo permette al medico veterinario di verificare il grado di alterazione dell’articolazione, da lieve a grave, ed escludere patologie ortopediche concomitanti. La gravità delle alterazioni radiografiche, ascrivibili al processo degenerativo, però, non sempre è correlata alla sintomatologia clinica del paziente.  

L’esame del liquido articolare mediante artrocentesi, può essere richiesto come ausilio diagnostico, specialmente nei casi in cui le alterazioni radiografiche non sono così evidenti (fasi iniziali della patologia) o quando si ha il sospetto di altre patologie. Tale esame viene utilizzato per effettuare valutazioni di tipo macroscopico (caratteristiche fisiche del liquido come colore, viscosità ecc), miscroscopico (es. conta cellulare, biomarkers) ed esami colturali.  

L’artroscopia è una tecnica chirurgica mininvasiva, che mediante l’utilizzo di un artroscopio inserito in articolazione,  permette di visualizzare le strutture articolari. Ha scopo sia diagnostico che terapeutico, poiché mediante l’immissione di liquido di lavaggio, si favorisce l’allontanamento di detriti, molecole proinfiammatorie e dei corpi intrarticolari che causano dolore.  

Tra le metodiche diagnostiche più avanzate e non invasive si annoverano la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, che, richieste in particolari casi,  permettono di effettuare uno studio tridimensionale del distretto interessato da patologia e di valutare alterazioni patologiche precoci non facilmente visibili all’esame radiografico. 

La complessità della patologia rende difficoltosa la sua diagnosi, soprattutto allo stadio iniziale, quando ancora non sono presenti segni di rimaneggiamento osseo.  

E se facessi una diagnosi precoce?

La diagnosi precoce ad oggi risulta l’unica arma per il corretto trattamento di questa patologia. A tal proposito, la ricerca negli ultimi anni, sia in campo umano che in campo veterinario, si interroga al fine di identificare “biomarker” (indicatori) precoci di patologia, utili sia per la diagnosi che per la prognosi. Numerosi progressi sono stati fatti in questo campo, e diverse molecole sono state identificate sia a livello articolare che sistemico e correlate al processo patologico, ma non ancora considerate uno strumento clinico diagnostico affidabile. Il loro utilizzo pertanto rimane maggiormente legato al campo della ricerca con l’intendo di validare markers di malattia utili sia per l’uomo che per gli animali d’affezione.